Gli Ammutati

La recensione di un podcast sui veri responsabili delle stragi mafiose.

Non so voi, ma se c’è una cosa che mi da profondamente fastidio, sono i mucchi di uscite contemporanee che riempiono le mie playlist nell’anniversario di qualunque avvenimento. Capisco che abbiamo una soglia di attenzione limitata, ma questo approccio a chi urla più forte mi sembra più adatto alle bancarelle del mercato televisivo, che non a un mezzo asincrono e on-demand come il podcast. Da ascoltatore, il risultato è una gran confusione che finisce per premiare solo chi è partito prima o chi ha dietro un nome grosso. Sempre che non si scelga di fare come il sottoscritto, rifiutando la cacofonia di voci in cui è affogato l’argomento del giorno e rifugiandosi felici in podcast comici sull'industria casearia.

Tutto questo per dire che sono profondamente arrabbiato. Sono arrabbiato con me stesso per aver ascoltato un gran lavoro come Gli Ammutati solo adesso, sei mesi dopo essermi perso la sua uscita tra il profluvio di podcast su Mafia e dintorni saltati fuori in occasione dell’anniversario della strage di Capaci. Sono arrabbiato con il ventre molle dello Stato italiano perché ha permesso, se non addirittura orchestrato, gran parte delle orribili vicende di cui si parla in questo podcast. Ma sto andando troppo in fretta. Faccio un passo indietro e provo a spiegarvi di cosa si tratta, ‘ché in fondo siete qui per questo.

Gli Ammutati ricostruisce una serie di strani omicidi e suicidi a sfondo mafioso che avvengono a cavallo tra la prima e la seconda repubblica e che, a differenza delle morti di Falcone e Borsellino, sono stati in larga parte rimossi dalla coscienza generale. Sono casi pieni di zone d’ombra, in cui le indagini sembrano fatte per occultare prove piuttosto che per trovarle e in cui i nomi dei mandanti rimangono ancora sconosciuti a trent’anni di distanza dai fatti. A riportare a galla queste vittime perdute ci pensa l’enorme lavoro di ricerca di Michela Mancini e della sua squadra. Attraverso interviste e un ampio uso di materiale di archivio, la giornalista calabrese ci trasporta di peso in un periodo complicato della storia italiana, in cui Mafia, parti dello Stato e gruppi della destra radicale lavorano insieme per spartirsi le spoglie del nostro paese, mettendo a tacere, o “ammutando” se volete, chi rischia di creare problemi al loro crescente potere. 

Avvalendosi di recenti riaperture e sviluppi giudiziari, Mancini ricostruisce le vicende che hanno portato alle morti di Nino Agostino, un poliziotto, Umberto Mormile, un educatore carcerario e Luigi Ilardo, un infiltrato. Su di loro, e su tutte le altre persone che con loro perdono la vita in quegli anni, aleggia lo spettro benevolo delle indagini di Giovanni Falcone, arrivato, insieme a Borsellino, troppo vicino a sbrogliare quell’oscura matassa di interessi che così tanta sofferenza ha creato.

Ecco.

Gli Ammutati è denso. Fatti e nomi si accumulano senza sosta sull’impianto narrativo tracciato da Mancini intorno alla storie dei suoi ammutati, saturando le orecchie di chi ascolta dei putridi e purtroppo realissimi complotti che hanno attraversato il nostro paese tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta. È un oceano di informazioni in cui ci si potrebbe perdere facilmente, ma Mancini e i suoi sono bravissimi a tenere la barra dritta, riportando l’ascoltatore su terre familiari ogni volta che le onde sembrano troppo alte e riuscendo a tenere viva l’attenzione attraverso continui rimandi di voci tra le puntate e una struttura narrativa che, nella sua semplice complessità, dovrebbe fungere da esempio per chi vuole lavorare con l’audio in Italia (vorrei dirvi di più, ma poi dov’è il divertimento?). Non mancano poi, come in ogni inchiesta giornalistica di livello, i momenti in cui ci si trova a spalancare le orecchie dallo stupore, punteggiando con dei sonori improperi quel che si è appena ascoltato.

Una nota a parte la meritano l’avvolgente colonna sonora realizzata per il podcast da Roberto Ribuoli e l’artigiana sapienza del sound design e montaggio di Massimo Verolini. Senza nulla togliere all’ottima scrittura di Mancini, il lavoro del duo Ribuoli/Verolini è fondamentale nel dare ritmo, atmosfera e punteggiatura emotiva a un podcast che, in altre mani, avrebbe rischiato di tramutarsi in un crudo affastellamento di voci. Gli Ammutati invece ha una narrazione sonora che vive quasi di vita propria, con suoni ambientali che si trasformano e dilatano, arrampicandosi sinuosi su musica e parole, speziandole senza mai stancare.

Gli Ammutati non è un podcast facile. Non lo è nei contenuti. Non lo è nella quantità di informazioni che vengono condensate in sette puntate. Non lo è per chi, come me, vuole convincervi a mettervelo nelle orecchie. È però un lavoro estremamente ben fatto, che scava in profondità e mette in fila in maniera mai banale una serie di fatti che tutti dovremmo conoscere e che ci permettono di vedere in una luca diversa un decennio abbondante della nostra storia comune. Per finire, Gli Ammutati è anche un modo per ricordare, commemorare e tardivamente celebrare i nomi di chi, senza retorica alcuna, è morto per l’idea di un’Italia migliore.

🔗Ascoltalo qui

✏️Autore: Michela Mancini per Radio Rai 1

🎧 Consigli di ascolto: è un podcast richiede un minimo di attenzione. Magari non ascoltatelo mentre fate qualcosa che richiede molti dei vostri neuroni. E se nella prima puntata vi sentite un pochino persi, non temete. Diventerà tutto, purtroppo, più chiaro andando avanti. E non vi pentirete di aver tenuto le cuffie nelle vostre orecchie. 

🧁 Bonus: finito di ascoltarlo, ho pensato che mi sarebbe piaciuto l’album della colonna sonora. Beh, esiste davvero!