Limoni

La recensione del podcast di Internazionale sul G8 di Genova

Sono di Genova. Nell’estate del 2001 ho quindici anni. Berlusconi è stato eletto al governo da qualche mese e io ho appena finito il mio primo anno di liceo. Probabilmente a quell’epoca ho già una qualche forma di vaga coscienza politica, alimentata da Guzzanti, Santoro, Repubblica e i libretti da mille lire di Stampa Alternativa. Tute bianche e no-global sono nomi vagamente familiari, ma niente più di questo. In fondo vengo da una classica famiglia medio-borghese, convintamente di centro-sinistra, ma ben lontana da partiti e attivismi. È per questo che nei giorni del G8 invece di essere a Genova sono a Cambridge, in Inghilterra, a cercare di imparare l’inglese. 

A Cambridge sono ospite a casa di una famiglia. Le connessioni wi-fi ancora non esistono e il mio cellulare è buono al massimo per giocare a Snake. Vivo i primi scontri nella saletta internet del college dove vado a lezione, aprendo decine di foto e aspettando che, linea dopo faticosissima linea, si carichino. Sembrano foto di guerra. Sono foto di guerra. Faccio fatica a crederci. Nel frattempo mio padre viene preso a manganellate da una dozzina di poliziotti mentre passa solitario in bici davanti a un loro squadrone in Piazzale Kennedy. Parenti vedono (presunti) black bloc staccare sanpietrini dalla pavimentazione di una piazza, sotto lo sguardo poco interessato dei poliziotti. Un giornalista urla a mia mamma di chiudere le finestre che «sta per scoppiare un lacrimogeno». Futuri amici di famiglia finiscono nella caserma di Bolzaneto senza alcun motivo e vengono pestati selvaggiamente. I miei borghesissimi compagni di classe scappano insieme ai loro moderatissimi genitori dalle cariche della polizia. Il liceo davanti alle mia scuola elementare diventa una macelleria messicana. Le vie sotto casa sono piene di macchine in fiamme. Ci sono i cecchini sui tetti del centro storico. Potrei andare avanti a scrivere per ore e non so se riuscirei a rendere in pieno l’orrore che noi genovesi, indipendentemente dal colore politico, proviamo per quanto è successo in quei giorni. La pelle d’oca che ho sulle braccia mentre scrivo queste parole. La fatica che faccio a scriverle.

Ora, mi rendo conto che qui dovremmo parlare di podcast, ma non posso (e non voglio) fare finta di essere imparziale nello scrivere di Limoni. Come spiegarvi altrimenti perché alla fine della seconda puntata stavo per mettermi a piangere? Come? Sono passati vent’anni e credo che sia giunto il momento di affrontare collettivamente questo mostro. Come fa notare più volte Annalisa Camilli, che del podcast è l’autrice, quei giorni li abbiamo tutti in qualche modo rimossi. È importante tornarci allora in quella Genova del 2001 e chiederci cosa ci abbiamo lasciato e quali sono i mondi possibili a cui abbiamo rinunciato dopo quel luglio. Il G8 di Genova ha minato in maniera irrecuperabile la fiducia nello Stato e nella politica di intere generazioni e ha contribuito in maniera decisiva a smantellare un movimento che stava diventando, se già non era, mainstream. Non so in che mondo, in che Italia e in che Genova vivremmo oggi se non fosse successo tutto quello che è successo.

È da qui, da queste domande, che parte il viaggio di Limoni, con un lento avvicinamento a Genova, che parte da Naomi Klein e arriva dalle parti della Fincantieri di Cornigliano, per poter poi raccontare il G8 e la città dentro il giusto contesto. Di Limoni per ora sono uscite solo due delle otto puntate previste, ma sapendo (e ascoltando) quanto lavoro di qualità c’è dietro abbiamo deciso lo stesso di consigliarvene l’ascolto oggi. 

Limoni è un podcast necessario e importante. So già che mi farà male e che mi farà arrabbiare. So anche però che mi farà di nuovo parlare e discutere di quella cicatrice che noi genovesi nascondiamo nelle pieghe della nostra coscienza dal 2001 e che, forse, è giunto il momento di osservare per vedere com’è fatta.

🔗Ascoltalo qui

✏️Autore: Annalisa Camilli per Internazionale

🎧 Episodi consigliati: poche storie, qui si parte dall’inizio.

🧁 Bonus: le musiche del podcast sono opera di Adele Altro, che nella vita suona cose bellissime come Any Other e che non vediamo l’ora di poter riascoltare dal vivo. Dietro il montaggio si nasconde il sapiente lavoro di Jonathan Zenti, l’abate del podcast italiano, e i bracci muscolosi di Amedeo di Strano Podcast (prima o poi ve ne parliamo eh!)