Qui si fa l’Italia

La recensione del podcast che finalmente vi farà imparare la storia d’Italia

Storia è sempre stata delle mie materie preferite, tanto al liceo quanto all’università. Probabilmente perché ho sempre avuto la tendenza a rivangare in continuazione il passato, andando alla ricerca di momenti di svolta, tanto nella mia vita personale quanto in quella collettiva. Conoscere la storia mi serve anche per avere un quadro chiaro di qualsiasi situazione. Per questo ho odiato che in quinta liceo, età di massima confusione, non ci fosse più tempo per studiare la storia contemporanea, quella dal fascismo in poi fino a Berlusconi. Il programma veniva fatto di corsa, quando già si iniziava a sudare nelle classi per via del caldo e ci si avvicinava all’ansia della maturità. 

La storia, per come ci è stata insegnata a scuola aveva una patina di noiosa e antica ripetitività. Un gran susseguirsi di date e eventi, che non sembravano avere alcuna continuità tra di loro. Non era né pop, né divertente e anche quando veniva raccontata con appassionato fervore attraverso le capacità narrative di gente come Piero Angela o Corrado Augias, sembrava roba da adulti o, al massimo da intellettuali che usavano un linguaggio distante da quello di tutti i giorni. Insomma, una noia. 

Nei miei vent’anni ho dovuto mettere insieme molti pezzi, tra articoli di giornale che danno per scontati gli avvenimenti di cui parlano, documentari dalla dubbia capacità di sintesi e domande ai miei genitori, per capire il contesto intorno a cose come il terrorismo delle brigate rosse, le stragi di mafia, mani pulite, il partito comunista, la DC. Un frullato di informazioni che parla tanto di quello che siamo oggi e che, forse, le generazioni passate tendono a voler rimuovere o a dare per scontate. 

Insomma, tutta questa premessa per arrivare a parlare di un podcast. Assurdo, vero? In Qui si fa l’Italia ho trovato, fin dall’ascolto della prima puntata, una freschezza nel raccontare la nostra storia più recente più unica che rara. In otto puntate i due Lorenzi autori del podcast, Baravalle e Pregliasco, riassumono egregiamente le tappe che hanno portato l’Italia a diventare la repubblica democratica che conosciamo oggi, con un linguaggio al contempo semplice ma centratissimo nel tenere insieme tutti i pezzi. C’è tutto quello che la mia generazione, cresciuta a pane e Mediaset, dovrebbe sapere (se ancora non lo sa) e, soprattutto, quello che le generazioni più giovani dovranno sapere. Il podcast, uscito proprio il due giugno dello scorso anno, arriva in un momento in cui gli ascoltatori seriali di contenuti audio erano più che pronti a questo tipo di racconti, grazie alla strada aperta dal podcast di Alessandro Barbero. A confermarlo c’è la permanenza stabile di Qui si fa l’Italia nelle classifiche dei podcast più ascoltati anche a distanza di otto mesi dalla prima uscita. 

Ogni puntata è dedicata a un momento o a una figura che hanno segnato la nostra storia ed è accompagnata da interventi a personaggi di tutto rispetto che, a differenza dei due host, hanno vissuto o conoscono da vicino quei momenti. Tra le storie raccontate, una delle mie preferite è decisamente quella che si sviluppa intorno alla storica foto di Pertini e Bearzot con la coppa del mondo del 1982, presa come punta di partenza per introdurre le tante vite di Sandro Pertini. Dalla caduta della monarchia all’ascesa di Berlusconi, Qui si fa l’Italia è un piacevole tour dello stivale che osserva cosa è stato e quello che siamo oggi per capire cosa potremmo diventare. A guidarci i due Lorenzi, uno a fianco all’altro, come Fausto Coppi e Gino Bartali hanno fatto in quel famoso Giro d’Italia che ha contribuito a costruire la Repubblica Italiana. 

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✏️Autore: Lorenzo Baravalle e Lorenzo Pregliasco per Spotify

🎧 Consigli di ascolto: iniziate con le prime otto puntate del podcast, che si concludono con l’entrata in politica di Berlusconi, a ridosso dello scandalo di Mani Pulite. Altra faccenda di cui tutti parlano ma che nessuno si è mai davvero preso la briga di spiegare in maniera chiara a chi era troppo piccolo per capirla, o proprio a chi non c’era.