We Were Three

La recensione del podcast su una famiglia distrurrat dal COVID.

Recentemente ho fatto un viaggio on the road in California, trascorrendo molte ore in macchina e accumulando, nonostante fossi in vacanza, un bel po’ di materiale per i consigli di ascolto dei prossimi mesi. Ma non è questo il motivo per il quale vi sto raccontando questa cosa. Il fatto è che questa vacanza è stato il primo vero viaggio post-pandemia che ho fatto. Un viaggio leggero, organizzato senza troppi pensieri e senza dovermi preoccupare di quando e dove mettermi una mascherina o farmi l'ennesimo tampone. Poi mi sono messa ad ascoltare We Were Three ed è stato come ricevere una necessaria botta e tornare sul pianeta terra.

Ascoltare questo podcast significa assistere a una storia che si sostituisce a quella delle relazioni familiari complicate, agli effetti del Covid sulla salute mentale delle persone e al problema della sanità privata negli Stati Uniti. Tre argomenti leggeri e proprio facili da affrontare e da digerire, soprattutto quando raccontati da un punto di vista profondamente intimo e personale come quello di Rachel McKibbens, figlia e sorella di due uomini morti a causa del Coronavirus. La storia inizia con Rachel che racconta a Nancy Updike, l’incredibilmente brava host di questo podcast, dell’sms ricevuto da suo fratello Peter in cui le comunica il decesso del padre. Nella conversazione che segue la ricezione del messaggio, Rachel scopre che entrambi avevano contratto il Covid e che nessuno dei due era vaccinato. Rachel torna a Santa Ana in California per il funerale del padre e dopo pochi giorni muore anche suo fratello. Mentre cerca indizi sui loro ultimi mesi di vita trova il telefono del fratello e i migliaia di messaggi scambiati con parenti e amici che le servono per mettere insieme i pezzi degli ultimi mesi, se non anni, di vita della sua famiglia.

Inizia così il denso racconto in tre episodi della complicata storia della famiglia McKibbens: dall’infanzia difficile di Rachel e Peter, il rapporto tossico con i genitori, i problemi del padre a come entrambi abbiano trovato il proprio modo di farci i conti. Rachel scappando il più lontano possibile, Peter rimanendo il più vicino possibile al padre. È nelle trame del tessuto che è la storia di questa famiglia che si intrecciano i fili delle conseguenze della sanità privata sui cittadini americani e di come certe contraddizioni siano diventate strappi evidenti con l’arrivo della pandemia. Updike racconta una storia americanissima ed è così che diventa un’eccellente parte per il tutto, come una sorta di “sineddoche multipla”, usando gli ormai confortanti tratti distintivi di Serial Productions: un sound design leggermente radiofonico che rimanda a This American Life, da dove tutto è iniziato; un giornalisimo narrativo di altissima qualità e la capacità di parlare a una collettività raccontando storie di singoli individui.

Ascoltare We Were Three non è stato facile. Significa fare i conti, anche qui dall’altra parte dell’oceano, con le difficoltà, spesso insormontabili, che si incontrano nel tentare di ricucire gli strappi di una storia familiare per evitare che diventino poi voragini nella vita adulta. Significa esporsi al pensiero e alla possibilità che chiunque, tra le persone a cui vogliamo bene, possa diventare vittima dell’ossessione e della disinformazione nei confronti del sistema sanitario. Significa, in ultimo, capire che “famiglia” non ha lo stesso significato per tutti, come dice la stessa Rachel nel podcast. “It can be both a coccoon and a trap”. (Può essere contemporaneamente un nido e una trappola)

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✏️Autore: Nancy Updike per Serial Productions

🎧 Consigli di ascolto: non ne ho di particolari se non: ascoltatelo.

🧁 Bonus: Nancy Updike, oltre a essere una talentuosa e rispettata giornalista, è anche la moglie di Dan, protagonista dell’episodio #46 di Heavyweight che, lo sapete, è il nostro podcast preferito.